Premessa

Sono trascorsi ottantasette anni dalla Conferenza di Stresa, chiamata anche in chiave propagandistica politica del tempo il “fronte di Stresa”, principalmente antigermanico, con l’obiettivo di circoscrivere le mire espansionistiche hitleriane sull’Austria e di limitare l’armamento non soltanto germanico, ma complessivo delle nazioni europee appartenenti alla Società delle Nazioni, Inghilterra in testa, come contenimento delle mire espansionistiche del Cancelliere tedesco sui territori dello “spazio vitale”. Nell’ambito della politica estera fascista, il momento era particolarmente favorevole per l’Italia, impegnata nell’idea della campagna d’Etiopia e interessata ad accattivarsi gli appoggi dei Paesi europei, Francia e Gran Bretagna in testa, per acquisire sempre più prestigio sul piano internazionale. Operazione che riuscì, non senza problemi intestini.

Gli antefatti

La situazione politica che sottendeva l’incontro era particolarmente tesa, soprattutto tra Gran Bretagna e Italia a seguito dell’azione militare italiana in Etiopia. Mussolini aveva da qualche tempo preso le parti del governo sionista che voleva la creazione di uno Stato ebraico in Palestina e, anche poco velatamente, si era espresso in suo favore, irritando non di poco gli inglesi, soprattutto perché l’azione italiana verteva a trovare un accordo tra ebrei ed arabi. L’azione di Mussolini in tal senso avrebbe portato, infatti, alla creazione di un piccolo Stato di Israele che avrebbe accontentato gli ebrei, non avrebbe indispettito gli arabi, ma avrebbe reso superflua la presenza inglese nell’area, assicurando per l’Italia una posizione di privilegio in Oriente. Pertanto, quando il governo italiano avanzò le pretese sull’Etiopia, intraprendendo l’azione militare relativa, la posizione inglese fu alquanto ambigua. Da un lato, infatti, la questione etiopica fu affrontata in una sola prospettiva: trovare un compromesso a tavolino con Mussolini in modo da assicurargli quel prestigio internazionale che tanto desiderava, assicurare la continuazione dell’amicizia e degli accordi franco-anglo-italiani in chiave espressamente antigermanica e, soprattutto, evitare quell’avvicinamento tra Italia e Germania che diventava ogni giorno più possibile, date le politiche interne dei due Paesi. Londra temeva, soprattutto, che Mussolini si facesse fuorviare dalle ideologie, mettendo in secondo piano gli interessi politici nazionali, così minando la sicurezza politica inglese sul Mediterraneo, area strategica della massima importanza per la tutela degli interessi economici dell’impero britannico. Un altro problema da affrontare a Stresa, anche se non scritto, era la sempre più labile certezza inglese che la Società delle Nazioni avrebbe corrisposto alle esigenze nazionali e internazionali, tanto che molti politici britannici sostenevano la necessità di agire con le proprie forze, come sempre era stato fatto, anche ricorrendo all’uso dell’esercito e della propria Marina, se necessario. Questi pensatori erano tanto più certi che, per il bene della Gran Bretagna e per la sua sicurezza soprattutto, fosse quanto mai necessario, e indispensabile, mantenere buoni rapporti con l’Italia di Mussolini, perché egli era l’unico in grado di contenere Hitler, le cui mire erano sempre più minacciose e pericolose per l’equilibrio mondiale. La considerazione internazionale di Mussolini era tale che si pensava che egli solo avrebbe potuto evitare un espansionismo hitleriano fuori controllo e minaccioso della pace faticosamente raggiunta. Gli inglesi, poi, di fronte all’aumento del consenso verso le compagini di sinistra avvenuto dopo la crisi americana, erano anche attenti a che la Francia non si avvicinasse troppo all’Unione Sovietica, date le simpatie nazionali per quella politica. Pertanto grande attenzione era posta dalla corona britannica all’equilibrio politico interno, perché se la questione pacifista così caldeggiata dall’opinione pubblica fosse rimasta saldamente nelle mani dei laburisti, essi avrebbero largamente vinto le elezioni con risvolti politico-economici sfavorevoli per molti. Il nodo della questione era se riammettere o meno la Germania hitleriana nella Società delle Nazioni dalla quale era stata bandita a seguito del Trattato di Versailles. Agli italiani era chiara questa posizione favorevole al mantenimento della pace, per la quale la pedina principale era la Germania, pertanto politicamente si operava in tal senso. Per questo la politica inglese era stata ambigua nei confronti dell’Italia circa l’annessione etiopica e i risvolti militari dell’azione dell’Impero italiano in quella zona d’Africa. La tendenza generale era di guadagnare tempo, affinché venissero scongiurati i peggiori scenari di politica interna ed estera, appunto con l’avvicinamento dell’Italia alla Germania. Non era possibile contrastare Mussolini in quel momento, almeno non apertamente, ma era più producente portarlo dalla propria parte, mantenendo salda il più possibile la Società delle Nazioni. Una posizione assai scomoda, perché è vero che l’opinione pubblica britannica era favorevole alla pace, ma era anche sfavorevole all’Italia in quel momento, per la quale un cedimento della Società delle Nazioni nei suoi confronti, a seguito dell’aggressione etiopica, era impensabile pur senza eccedere. Mussolini non aveva colto quella sfumatura, quindi tendeva ad andare dritto, comportando un certo irrigidirsi dell’opinione pubblica nei suoi confronti, ma allo stesso tempo Londra non fu disposta a portare davanti alla Commissione di Ginevra l’incidente etiopico di Ual-Ual del 5 dicembre 1934. Il controllo dell’area dei pozzi d’acqua etiopici venne ingigantito dalla propaganda fascista proprio per poter dare il via alle operazioni militari nel Paese. Questo atteggiamento, che comportò la trattativa con il governo di Addis-Abeba anziché il deferimento alla Società delle Nazioni della questione, era indispensabile perché Londra potesse trovare un accordo con Mussolini senza contrapporsi apertamente a lui, come avrebbe dovuto fare diversamente davanti alla commissione.

La Conferenza di Stresa

Il convegno di Stresa, a quel punto, diventava il momento migliore per discutere della questione etiopica, dato che si incontravano i Primi ministri di Francia, Gran Bretagna e Italia. Alla Conferenza di Stresa, presso Palazzo Borromeo sull’Isola Bella, parteciparono tra l’11 e il 14 aprile 1935, il Ministro degli Esteri francese, Pierre Laval, il Primo Ministro britannico, Ramsay MacDonald, e il Capo del governo italiano, Benito Mussolini, i rappresentanti delle nazioni alleate che avevano vinto la prima guerra mondiale. Con loro Simon, Vansittart, Flandin, Léger, Suvich e Aloisi.

La Conferenza venne indetta per approvare un indirizzo comune rispetto alla decisione di Hitler del 16 marzo precedente, di ripristinare la coscrizione obbligatoria, in aperta violazione del Trattato di Versailles, all’articolo n. 173. Sarebbero nate la Werhmacht (con 26 divisioni e circa 500mila uomini), la Lutwaffe e la forza navale tedesche. Alla fine, la Conferenza ribadì gli Accordi di Locarno precedenti e si concluse con una dichiarazione d’intenti con la quale Francia,  Italia e Gran Bretagna avrebbero seguito una linea comune nei confronti della Germania; avrebbero proseguito i negoziati per la sicurezza dell’Europa orientale; si sarebbero impegnate a mantenere la sovranità dell’Austria su territori chiaramente nelle mire di Hitler; di lavorare per stipulare un patto con la Germania per limitare l’aviazione militare, allo stesso tempo limitando gli armamenti di tutti gli Stati coinvolti negli accordi, Germania compresa. Italia e Regno Unito si posero come garanti del Patto di Locarno. Mussolini si dimostrò il più determinato in seno alla Conferenza, soprattutto al momento della stesura dell’accordo. Nel testo finale della Conferenza avrebbe dovuto essere scritto che le tre potenze lì convenute si trovavano d’accordo nel voler mantenere la pace nella formula: “[…] nell’opporsi, con tutti i mezzi possibili, a qualsiasi ripudio unilaterale dei trattati che possa mettere in pericolo la pace ed agiranno in stretta e cordiale collaborazione a questo scopo”. Mussolini voleva che si scrivesse “che possa mettere in pericolo la pace dell’Europa”. A quel punto gli astanti si guardarono, cogliendo nella richiesta il chiaro riferimento all’Etiopia, e nel silenzio generale rotto solo dagli sguardi, la proposta venne accettata. Mussolini citò la questione africana con alcune frasi, ma vennero lasciate cadere nel vuoto, per evitare la presa di posizione netta contro la Germania e, allo stesso tempo, non infastidire l’alleato italiano. Samuel Hoare spiegò, infatti, tempo dopo, che la speranza era in una soluzione diplomatica amichevole nel conflitto italo-etiopico, anche a più lunga scadenza, mentre nell’immediato a Stresa bisognava garantire l’unità tra Francia, Italia e Regno Unito. Sarà proprio Hoare l’artefice della proposta di accordo tra Italia ed Etiopia nel dicembre dello stesso anno. A Stresa, inoltre, i più interessati a ribadire la necessità di un’unione tripartita tra Italia, Francia e Gran Bretagna erano proprio i francesi, che non volevano assolutamente portare la questione etiopica davanti alla Società delle Nazioni per non doversi scontrare con Londra, in modo tale da mantenere unito il fronte antigermanico. Mussolini, in preparazione all’incontro sul lago Maggiore, aveva sottolineato come l’Italia fosse l’unico Paese ad essere convinto che le “perniciose utopie del disarmo” non avrebbero retto: l’Italia contava sulla forza militare e sosteneva che solo essa avrebbe potuto salvaguardare dagli attacchi politici degli altri Stati, soprattutto in chiave colonialista, oltre che garantire l’espansionismo che si riteneva necessario.

In realtà la Conferenza di Stresa è stata considerata da tutti un fallimento, perché il tergiversare britannico non ha determinato nulla, se non convincere  Mussolini di avere carta bianca. La chiarezza politica sarebbe stata preferibile e, forse, non avrebbe portato alla conseguenza dell’avvicinamento italiano alla Germania hitleriana. Chiarezza che venne comunque espressa un paio di giorni dopo a Ginevra da parte del Ministro degli Esteri inglese, episodio che contrariò Mussolini. Allo stesso tempo, era necessario alla Gran Bretagna non ostacolare le trattative in atto con la Germania, soprattutto in ambito navale, mentre l’opinione pubblica si dimostrava pacifista, quindi sarebbe stato impossibile fermare le mire tedesche senza invadere la Germania, ipotesi che si allontanava sempre più dall’orizzonte, mano a mano che procedevano gli incontri bilaterali.

CONFERENZA DI STRESA: decisioni comuni

Il documento di Stresa

I Rappresentanti dei Governi d’Italia, di Francia e del Regno Unito hanno esaminato a Stresa la situazione generale europea sulla base dei risultati degli scambi di vedute svoltisi in questi ultimi tempi, della decisione presa il 16 marzo dal Governo germanico, nonché delle informazioni raccolte dai Ministri britannici nelle visite fatte in varie capitali europee.

Avendo considerato le conseguenze di tale situazione in relazione alla politica definita nelle intese intervenute tanto a Roma che a Londra, si sono trovati d’accordo sulle varie questioni che hanno esaminato:

  • Essi hanno concordato una linea di condotta comune da seguire nella discussione del ricorso presentato dal Governo francese al Consiglio della Società delle Nazioni;
  • le informazioni raccolte li hanno confermati nell’avviso che conviene continuare i negoziati per l’auspicato sviluppo della sicurezza nell’Europa Orientale;
  • i rappresentanti dei tre Governi hanno proceduto ad un nuovo esame della situazione austriaca.

Essi confermano le dichiarazioni anglo-franco-italiane del 17 febbraio e del 27 settembre 1934 con le quali i tre Governi hanno riconosciuto che la necessità di mantenere l’indipendenza e l’integrità dell’Austria continuerà ad ispirare la loro politica comune.

[…]

Dichiarazione finale

Le tre Potenze, la cui politica ha per fine il mantenimento collettivo della pace nell’ambito della Società delle Nazioni, constatano il loro completo accordo di opporsi con tutti i mezzi adatti ad ogni ripudiazione unilaterale di trattati, suscettibile di mettere in pericolo la pace in Europa; a tal fine asse agiranno in stretta e cordiale collaborazione.

Conclusioni

La Conferenza di Stresa, a parte contenere il rapporto italo-inglese e dirimere la questione tedesca, in realtà si è rivelata un fallimento. Due mesi dopo, il 18 giugno 1935, Germania e Gran Bretagna firmarono l’accordo navale, che permetteva alla prima di armare una flotta da guerra a patto che non superasse quella britannica del 35% e che la Germania non possedesse sottomarini. Il governo inglese non comunicò quegli accordi agli alleati, pertanto gli accordi di Stresa sembrarono minati o inutili sin da subito, risultando indebolito quel fronte comune antitedesco che la Conferenza costituiva nei suoi intenti. Nell’ottobre successivo, il Regno d’Italia invase l’Etiopia, portando alla decisione delle sanzioni da parte della Società delle Nazioni. A quel punto, la trama tessuta a Stresa era definitivamente strappata, perché Mussolini ripudiò le sanzioni come un tradimento di quel “via libera” che era sembrato implicito proprio a Stresa della sua tanto agognata campagna in Africa, per compattare e concludere la creazione dell’impero coloniale italiano. Laval sperava di ricostituire la fiducia reciproca per saldare il “fronte di Stresa”, sempre in chiave antitedesca e per scongiurare un accordo tra Germania hitleriana e Italia fascista. Per Mussolini l’accordo navale era una chiara posizione anti-fronte e Francia e Gran Bretagna avevano contravvenuto alla tacita annessione dell’Etiopia all’Italia che gli era apparsa evidente a Stresa. Per Mussolini la Conferenza di Stresa era un tradimento da parte di Londra, quindi decretò come sciolto il “fronte di Stresa”. Nel mese di maggio 1935, infatti, si tennero i colloqui italo-britannici, ai primi del mese e nell’ultima decade, sia a Roma tra Mussolini e Drummond, che a Ginevra tra Aolisi, Eden e Laval. Durante i colloqui emerse chiaramente che Mussolini non voleva assolutamente retrocedere circa la questione etiopica, che i francesi erano dalla parte dell’Italia, pur non volendo rompere i rapporti con Londra; che il governo londinese non voleva assolutamente rompere le trattative con Roma e che pensasse ad una soluzione al di fuori della Società delle Nazioni della controversia etiopica. Mussolini era sempre più irritato nei confronti degli inglesi, come apparve anche durante il discorso alla Camera del 25 maggio; irritazione aggravata dagli attacchi della stampa britannica che sottolineavano anche le difficoltà di politica interna del Duce. Questa situazione indusse Mussolini ad assumere un atteggiamento sempre più duro e inflessibile, soprattutto per rassicurare l’opinione pubblica italiana della solidità della sua azione politica sul piano internazionale, promuovendo una campagna di stampa sfavorevole all’Etiopia e che avrebbe preparato gli italiani alla necessità di una guerra in quella regione. Essa sarebbe valsa come prova di forza soprattutto nei confronti della Società delle Nazioni, e quindi della Gran Bretagna, colpevole di non voler riconoscere l’Italia come grande potenza coloniale, un impero forte nel Mediterraneo, in nome della difesa della pace che suonava sempre più come un pretesto. In realtà, Mussolini ancora operava per condurre le trattative con l’Inghilterra, mentre otteneva, di fatto, il dilungarsi della situazione. Questo gli garantiva di non dover affrontare la Società delle Nazioni prima di un’adeguata preparazione militare in vista della campagna d’Etiopia. Nel frattempo, Mussolini si dimostrò duttile, capace di mantenere i rapporti e di sostenere le trattative, anche in chiave oltre-ginevrina, mentre si intensificavano i rapporti con il mondo arabo, in gran parte segreti: Egitto, Palestina, Yemen erano pedine per minare il mondo inglese. Infatti, Mussolini ventilava che in caso di conflitto tra Italia e Gran Bretagna, essi si sarebbero trovati in mezzo, con gli interessi economici inglesi minati, come voleva la manovra politica, perlopiù segreta. Fu proprio questa situazione a portare Mussolini a tutelarsi, avvicinandosi in modo più malleabile alla Germania, proprio per prepararsi all’evenienza di scontro con Londra. A questo proposito, Hitler incontrò il maggiore Renzetti nel giugno 1935, al quale espresse le sue lagnanze circa la violenta campagna di stampa italiana contro la Germania da lui governata. Hitler espresse chiaramente l’idea che non aveva affatto pensato di annettersi l’Austria, o di inviarvi divisioni, proposito che aveva condotto Mussolini a tuonare contro di lui. E questo perché era convinto che Italia e Germania fossero legate da problemi e intenti comuni, con una politica simile al punto che avrebbero dovuto procedere insieme. Invece, si attenevano a comportarsi come volevano Francia e Gran Bretagna, le due nazioni che, secondo Hitler, avrebbero avuto più da perdere, e che quindi non gradivano l’avvicinamento, da lui tanto sperato, tra le due nazioni governate da regimi di destra. Insomma, era l’Austria a dividere Italia e Germania, una situazione che sarebbe stata facilmente risolvibile. L’approccio di avvicinamento era chiaro e avrebbe, ben presto, portato i suoi frutti.

Alessia Biasiolo, CESVAM